Chi legge e si pone all’ascolto
dell’opera di Cioran percepisce l’eco, talvolta nostalgica,
talvolta spietata, del silenzio originario, fonte piú autentica
di tutte le sue parole e delle sue espressioni maggiormente “ispirate”.
Fecondo non è quindi il silenzio di Cioran quanto la sua
inimitabile capacità di “farci sentire” il
suo silenzio attraverso le parole, la sua stupefacente abilità
nel mettere a disposizione una possibilità di ascolto del
silenzio mediante ciò che sembra essere il suo opposto,
appunto la parola. Ma la parola di Cioran è davvero l’opposto
del silenzio o non è piuttosto una sorta di alterità
del silenzio, nello stesso modo in cui esiste in noi stessi un’alterità
che ci abita? Se la parola di Cioran è abitata dal silenzio,
allora appare chiara la ragione che porta Cioran a una critica
radicale di qualunque parola che si arroghi il diritto di illuminare
– ma in realtà siamo nell’ordine dell’abbagliamento
piuttosto che della semplice illuminazione – in modo diretto
il reale. Da qui la sua avversione per discipline (le scienze
ma anche, e soprattutto, la filosofia) accusate di pretendere
ciò che non può essere preteso, di cullarsi nell’illusione
di poter catturare il mondo, attraverso la loro luce intensa,
con un gesto violento e non problematico.
Alessandro Seravalle
(Udine, 10 ottobre 1968) si è laureato in filosofia presso
l’Università degli studi di Trieste con una tesi
sul Privatdenker romeno Emil Cioran. Con oltre venti
dischi all’attivo, da circa trent’anni è sulla
scena musicale, con varie formazioni (si ricordano in particolare
i Garden Wall e Officina F.lli Seravalle) nell’àmbito
della musica di ricerca sia di stampo rock che incentrata sull’elettronica.
Nel 2021 è uscito il suo primo libro, per i tipi della
collana ‘Mosaico’, dal titolo Cioran
e Buddha: una fruttuosa impossibilità.