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Massimo Lenzi, Daremoto
| 16,00 € | pp. 120 | 13x20 | Venezia
2024 |
Nota di Marco Sodini
Postfazione di Giovanni Zamponi |
La presa di contatto con i versi di Massimo Lenzi procura ex
abrupto l’esperienza di essere al cospetto di testi straordinari.
Non intendo usare tale connotazione con il valore di sublimi o eccezionali
– si tratta eventualmente di altri aspetti ai quali dedicare
accorta meditazione a tempo e luogo. No, qui straordinario vuol
dire sorprendente e non facile da trasformare in parafrasi fatta
di locuzioni decifrabili e comprensibili. Almeno parlando in generale.
Per meglio esplicitare l’impressione provata, prelevo dal
catalogo delle immagini la figura di una grande sfera che un tizio
vorrebbe abbracciare; ma la semicirconferenza del solido supera,
e di non poco, l’apertura delle sue braccia. Impresa impossibile,
pertanto, e degna di un sogno con i caratteri dell’incubo.
Si può anche trattenere, tale sfera, in equilibrio nuotante
tra stabilità e resistenza; ma poi, a ogni tentativo di afferrarla,
ricomincia pericolosamente a oscillare fino a rotolare. E si resta
irretiti nell’interminabile fatica di Sisifo.
Dalla postfazione di Giovanni Zamponi
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Introibo
L’Arte consiste nell’ordire tresche
Di pànico e vergogna in modo tale
Da scuoter marionette vampiresche
E perdere soltanto ciò che vale.
Un fischio. Due passetti rattrappiti.
Non sai chi viene, né perché s’è mosso.
L’aria s’infrange in passeri e vagiti,
Ed ecco – tutto un pubblico commosso,
Varcato lo sghignazzo della farsa,
Boccheggia di coscienza e di disgusto
Perché la sorte, inconsulta comparsa,
Esce, scaracchia e dice: «giusto, giusto...»
– Dimentica, riposa e incrudelisci!
Scalza dal cuore il cavo della mano!
L’uomo ha inventato trucchi e arnesi lisci,
Ed io non son mai stato tanto umano.
4 settembre 1985
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Mimos della candela
Tu che apprendi semiseria
L’abitudine sghimbescia
Che cancella cifre e zeri a
Questo conto alla rovescia:
Taci e tendi il sordo ascolto
Alla brezza mattutina
Che verifica assassina
I tuoi conti sul mio volto;
Senti come la festuca
Bruca torpida e testarda,
Come rumina e s’attarda
Rovistando nella buca
Delle ère... No, va’ avanti!
Anima d’una candela
Che ha bruciato tutti i santi,
Ora qui cosí si gela.
4 dicembre 2022
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7 calyxes to Hecates
Era infuso di cenere marcia il naso
Che pendeva dagli occhi, a febbraio.
Altre volte, di tre supplici
Tigli, come un saio;
E non a caso
Era inoltre
Chiaro che ogni strada
Arpionava sgomentissima
Tibia con tibia, hembra hada
Esalata tra qualche martire e oltre.
Essenza meno essenziale d’una formica,
Continuava lí, risbucciando
Agli, a scindere l’anima
Terre e terre, quando
Ecco l’amica!
Ecate, ah,
Carnoso ogni buco,
Alta, buia e sapientissima.
Terrore al terrore che conduco,
Esce volendo, e se non vuole sta qua.
Errare è, dopo tutto, sí disumano
Che ciascuno è un grande errore, sino
A che lo emenda Ecate
Con qualche pompino,
E invano,
E lei qui dice:
«Cazzo, io lo conosco
A menadito quel tuo refolo
Tanfoso d’alito: fa’ che m’ammosco,
E rispedisco qui ogni sorta d’Euridice!!!»
Essere, tu che sai essere o non essere
Cicatrice da cordone a bara,
Armami d’un ago immemore,
Tosa lana chiara,
E tessere!
3 giugno 2002
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