Ada Sirente è lo pseudonimo di una donna
poeta, che ha scelto per sé il nome di un monte sempre
innevato, la cima piú alta – 2349 metri – il
Sirente, di un gruppo montuoso dell’Appennino abruzzese
che porta anche questo il suo nome. Viene da lí, è
cresciuta con questa vista, con questa copertura protettiva e
dominante alle spalle, con questo simbolo di ascesi, di pienezza
e di difficoltà.
[…]
Molto semplice ed efficace l’immagine che
Ada Sirente ha trovato per definire la morte: il momento in cui
non decidiamo piú noi di chiuderci dentro, ma veniamo chiusi
da fuori. La morte come prigione passiva, chiusura definitiva,
impossibilità, impotenza.
Forte è il sentimento dell’autrice nel sentirsi parte
di un tutto, e altrettanto forte in lei il desiderio d’intervenire
a favore della natura, costi quel che costi.
I suoi versi sono, anche questi, parti inscindibili di un tutto,
tutti pareggiati dalla minuscola, tutte le poesie senza un punto
che le separi, fibre vegetali irrorate da un’invisibile
linfa.
Dalla Postfazione di Annelisa Alleva
Da Dopo l’ultimo
incendio
I
come animali congedi parole al
confine del bosco d’inchiostro
sul cuore che butto nel centro
del cerchio, noi due, siamo
questo restare nel cerchio
del tronco non riesco a
vedere nient’altro che il
nostro morire di notte
II
io che domando a te che neghi
quello che vedi quando attraversi
tutti i miei pezzi di carne e gli occhi
me li conficchi fino agli anfratti
piú disconnessi dei miei tragitti
che tu percorri come le bestie
quelle dei boschi sui precipizi
io che domando a te che non riesci
a dirmi tutto quando mi lasci
come spogliata sui crocifissi
se non urlo non posso sentirti se non
sento non posso parlarti tra
gli alberi fitti del bosco non riesci a
sentire che questo frinire di fogli
che questo riempire la stanza dei giorni
di piccoli mondi disegni
parole disastri silenzi
distrai le montagne dai crolli se urlo
non senti che questo finire di foglie
si fanno corolle poi tornano melme
concimanti, se urli non
posso tornare sementi
non c’è nessuno che li pianti accanto
in due di fianco sotto ogni tempo
sotto la grandine sotto il lamento
del sole ardente sopra la pelle
se si rapprende diventa vecchia
non c’è nessuno che li pianti accanto
solo due alberi nella foresta
foresta resta di due soltanto
quei due da vecchi che avranno pianto
V
dopo la tempesta siamo rimasti mostri
di tanti intrecci pendenti ghiaccio
tu sei rimasto un abete secco
io se riesco divento faggio
cosí sopporto qualsiasi sforzo
se ti riporto sul dorso a maggio
non spezzarmi non strapparlo
ramo rotto come il tempo
di un mattino senza giorno
dimmelo tu quando ritorno
se siamo querce dopo l’inverno