Risvolto di copertina
Precisamente il 25 novembre 1964, Ingeborg Bachmann aveva rilasciato
un’intervista nella quale, in merito alla poesia contemporanea
e ai limiti degli autori soprattutto delle nuove leve, aveva sostenuto:
“Le carenze che si possono osservare qua e là e che
mi deprimono di piú, non hanno niente a che vedere con
i ferri del mestiere. Ci sono alcuni giovani scrittori che non
soltanto hanno talento, ma che dispongono di mezzi stilistici
quasi senza fatica, cosí che in un primo momento non si
saprebbe dire perché i loro prodotti deprimano. Credo che
operino con le conquiste stilistiche di altri, rinunciando cosí
a fare essi stessi delle conquiste. È questo che si avverte
come carenza: l’insincerità, il senso di raccogliticcio.
Infine, però, questo non vale solo per gli scrittori piú
giovani, ma anche per molti altri, ed è valso per ogni
epoca.
[...]
E non vi sembra che l’opportunità creativa
e ricreativa sia andata del tutto sprecata: che, cioè,
l’eclissi dell’umanesimo abbia presto significato
in Occidente quel che ancora, e secondo alcuni ormai irreversibilmente,
significa, ossia la fine della cultura intesa come emancipazione
individuale e collettiva, la fede convinta nella barbarie, e non
la semplice occorrenza di una profonda crisi di civiltà?
Perché, se questa fosse anche la vostra opinione, mi verrebbe
da chiedervi: ma davvero credete che, nel trentennio o quarantennio
che abbiamo alle spalle, la letteratura sia di fatto sopravvissuta
alla scomparsa dell’uomo e che essa, magari da tempo moribonda
e persino conservandosi tale, possa ciononostante continuare a
sussistere? Pensate davvero che ogniqualvolta ci ostiniamo a parlare
di letteratura, come ci accingiamo a fare oggi, noi ci accostiamo,
da vivi, a un corpo vivo, invece di dissezionare, da morti, un
corpo morto? Un centesimo di euro: scommettereste un solo centesimo
di euro sul fatto che oggi, per noi qui presenti, per i ragazzi
nelle scuole e nelle università, per gli scrittori e gli
studiosi stessi, quindi non astrattamente per la società
dei consumi di massa, ma ancor prima per l’intellighenzia,
presunta o reale, che in essa opera, Dante sia Dante,
o possa tornare ad essere Dante, o sia divenuto un nuovo Dante,
o abbia l’opportunità di tramutarsi in un Dante ulteriore?
Per nessuno Dante è tuttora, Dante potrà piú
riprendere ad essere, Dante saprà, dal nulla, ancora diventare
qualcosa: forse la situazione è realmente questa.
Ma se tale è il quadro, ci è consentito definire
quelli attivi – a prescindere dai loro eventuali demeriti
– scrittori, critici, studiosi, docenti di letteratura,
finanche lettori? Noi qui riuniti siamo, oltre ogni ragionevole
dubbio, scrittori, critici, studiosi, docenti di letteratura,
finanche lettori?
Porto San Giorgio, 8 agosto 2008