Dalla Postfazione di Gabriele Frasca
Dove se ne sta andando Roberta Durante? Non lo so. Quello che
fa, da quando la conosco, mi piace. Soprattutto adesso che ne
scorgo l’ansia, che suppongo sia il ritmo del suo respiro,
nella composizione dei versi. Che è esattamente quello
che riconduce, perché di questo si tratta, la poesia al
sogno. Non a quello romantico, beninteso, non dunque alla fantasticheria,
e men che meno alla scrittura automatica, che è una riverbalizzazione
da lettino, nella perenne presenza dell’analista, o della
sua scimmia. La poesia ha a che fare col sogno per quello che
il sogno stesso è: linguaggio, e non allo stato puro (non
può esserci nulla di puro in ciò che giunge a riconnettere
i corpi), ma in quello d’innesto (d’innesco, d’incesto).
Che poi è quel bacio «forte», notturno (il
linguaggio proietta ombre sulla luce disperatamente a giorno che
continua a dare vita alla vita), con cui invero si cuce «la
bocca | ma bene senza mostrare il filo».
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aspettavo un segno:
un fiore che cadendo dall’alto
mi bucasse la testa per crescere dentro
e uscirmi dagli occhi tra i denti dal naso
e io con la faccia (per una volta)
fare il vaso
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quando cominciarono le preferenze
non riuscii piú a distogliermi dal mare
mi avvolgevo su me stessa a spirale:
una conchiglia strana
uno sforzo continuato che mi piaceva
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forse di notte oppure una volta ch’ero stanca
fingevi di baciarmi forte
invece mi cucivi la bocca
ma bene senza mostrare il filo
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mi infilavo le mutande
che erano evidentemente ben affilate:
finivo a terra ma in due parti
due pezzi di me totalmente inutili