Dalla
Nota di Peter Kammerer
Il discorso pagina dopo pagina si fa sempre piú chiaro,
sempre piú oscuro. La poesia lascia segni “che uno
riconosce e trova senza neppure cercare”. Versi parlati con
poche rime di riconoscimento. Il lavoro del poeta sta nel tramare
l’incontro di parole. Non si sa mai quello che c’è
in una parola. Rinchiudono lo stato d’animo di un periodo,
la fine di qualche cosa. Rimangono come reperti e sintomi di una
situazione. È come passeggiare in spiaggia o guardare le
nuvole. L’esercizio sta nel saper collegare i singoli reperti
che hanno finito il loro ciclo cercando un’altra destinazione.
Togliere il superfluo e inserirli nella necessità di una
storia.
quello che fa piú male
è la drammaturgia della luce
nel primo pomeriggio,
un infreddolito chiarore sui marciapiedi
di febbraio e le pozze d’acqua
uno accende la lampada
del comodino e la luce
si sgrana sui colori
della coperta e delle tende,
supera lo spartiacque
il profumo della pelle
ma il risveglio quello vero
capita da svegli, per caso
a volte soffiando il naso
c’è il sangue o due parole si avvicinano
il sorriso dei manichini
portati sulle spalle dai facchini
tra la folla le occhiate
al carico di simulacri
un groviglio di arti
nella fossa comune
di un furgone
per esempio i buchi
nelle guarnizioni dell’atmosfera,
sembra che la ferita
non si richiuderà
c’è chi parla di disastri totali
qualcosa di piú dei massacri normali
e quel vomito
nei ghiacci siderali,
una cometa di schifezze
esercizi spirituali per cosmonauti,
ma è piú intelligente lo sguardo
fatalista dei pinguini
sulla crosta polare
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