Dalla Lettera dalla Romania a
un poeta italiano di Bruno Pinchard
La tua nuova raccolta di poesie, caro Enrico, richiede
qualche riflessione. E poiché l’hai messa sotto il
segno della spiritualità ortodossa, poiché l’hai
aperta con la citazione di un filosofo rumeno particolarmente
provato dall’oppressione di uno Stato totalitario, ho creduto
bene di attendere a un lungo soggiorno in Romania per inviarti
le parole di amicizia che ti avevo promesso. Ti scrivo nel vento
della collina, il tuono in lontananza, le bestie passano lungo
le strade, i ciuffi d’erba risplendono, dagli alberi già
cadono i frutti maturi. Potrei declamare Pavese, ma è D’Angelo
che oggi mi stringe. I Dialoghi con Leucò appartengono
ai campi deserti e agli dèi dispersi dei moderni, i dialoghi
di D’Angelo iniziano con l’icona e finiscono col canto
del cigno. Decisamente, non si tratta della stessa campagna né
degli stessi dèi, e la fine non è un suicidio, ma
un volo. [...]
A una straniera
Mi chiedi forse semplici parole
per scriverti poesie, ed io ti sorrido
perché per riuscirci dovrei dapprima
imparare a scriver senza dolore;
ma questo (che tu non sappia, mi fido)
è solo del cielo, rima o non rima.
Congiunzione
Eppure c’è uno sguardo superiore
quando ti svegli e vedi ancora il sole
oppure la pioggia, e sai che ridere
o piangere ti porterà a vivere
ogni altra fatica… intanto ti muovi
e non sai verso cosa (e non la trovi).
Struggente una disperazione chiama
il tuo nome e cognome, la tua tana,
stringe, costringe a uscir fuori di te
senza un aiuto, l’aiuto del proprio sé;
e assai duole (duole fin dentro te
come una prova) quel che prova il sé
e non sai fin dove, e cerchi un perché
e ciò che ti risponde è un non so che.
J’accuse
Ma dove sei, Padre, ora che hai voluto
diventassi figlio? in che Ti somiglio
quant’anche abbia taciuto e disvoluto
esser padre o figlio? cosa mi piglia
se a Te domando di me, se a Te infine
rispetto chiedo per tanta inquietudine?
quale sofferenza o prova qui intercede
in tanto malessere che destina
l’amara essenza alla propria abitudine
comunque votarsi a un vuoto di fede?
ma no, no, non sto piangendo, anche se ieri
torna sempre quel confuso pensiero…
(ah se, pur creando, Tu fossi donando
un po’ qui presente, e senza alcun vanto!)
Nervi
Quel che avevo l’ho perduto di vero
la preghiera avendo resa nemica
coll’aspro odore della mia vendemmia.
Ah, questi miei nervi tesi nel nero
di un’ombra che intanto monta piú antica
fin dentro la notte pura bestemmia.
Ah, questi miei nervi tesi di fino
lontano da loro io cerco rifugio:
al pianto acceso un conforto atteso,
una melodia che piano s’avvicini,
una nostalgia che piú non abbia indugi,
d’un uomo l’illusione non piú offesa…
cosí va e viene la mia malattia
e amor non so che sia se non poesia.