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Michael Donhauser, I canti piú belli

Traduzione dal tedesco e cura di Gio Batta Bucciol

| 7,00 € | pp. 54 | 12x18 | 978-88-97726-05-0 | Di Felice Edizioni, Martinsicuro 2012 |

Premessa di Gio Batta Bucciol

Le poesie di Michael Donhauser non amano i toni retorici ed altisonanti, hanno il passo leggero, l’andatura calma e tranquilla e si muovono con scioltezza, senza vincoli sintattici troppo rigidi. Sono composizioni in cui la natura e il paesaggio si compenetrano con l’esperienza amorosa e in cui si descrivono o evocano cose semplici e grandi, come la felicità, il dolore, l’amore, l’ebbrezza o la perdita di tenerezza. La primavera con i profumi delle sue fioriture o l’autunno, carico di frutti maturi, accompagnano la tematica amorosa di segno per lo piú malinconico, ma vivificato dalle metafore della natura. L’amore termina con l’addio, mentre la natura abbandona l’idillio: nelle poetiche descrizioni di natura si rincorrono le parole che formano il vocabolario tipico della lingua di Donhauser, come oscillare, frusciare, sfiorare, l’ebbrezza, il profumo, il sambuco, la veccia…, ma il testo è anche disseminato di dissonanze rappresentate da oggetti e da nomi della civiltà industriale, come l’asfalto, i moderni capannoni o il maggese illuminato dalla luce al neon.
C’è una felicità tattile nell’osservare le cose, nel circuirle, nello sfiorarle. Confessa il poeta: «Ed erano mani i miei occhi ed era il vedere uno sfiorare…». Infatti non solo gli occhi, la luce stessa ha mani per posarsi sulle cose: «e come mani si posarono le luci sulle / vie d’asfalto».
Ci parlano della perdita dell’amore e, quindi, della felicità questi versi, eppure una consolazione li attraversa «perché la lingua ristabilisce la felicità nel momento che la inventa, a dispetto della perdita, con una risposta affermativa». È cosí che può sciogliersi un canto piú bello, come una trasognata aria d’opera, come il canto rasserenato di Orfeo, che, pur disperato, intona il suo «che farò senza Euridice…».

Gio Batta Bucciol


E qualcosa trabocca, e qualcosa va cadendo,
acconsente e recalcitra ancora, è la necessità
che ci piega silente, è il tempo che dimora e
spezza, un ultimo barbaglio che resta e tutto
culla e accende e si ritira poi.

Und etwas wippt, und etwas fällt und willigt | ein und sträubt sich noch, es ist die Not, | die still uns neigt, die Zeit, sie wohnt und | bricht, es bleibt ein letzter Schein, der alles | wiegt, der glost, dann weicht.


Fugace resta e vorticosa cade la neve, gira,
e c’era un vino, pudica era la necessità,
e c’era una luna, che come innevata e lenta
alzava il pallido chiarore, tutto era fallito
e fluttuava leggera, la notte, che poi scese
e si spezzò come un pane.

Und flüchtig bleibt und wirbelnd fällt der | Schnee, er treibt, es war ein Wein, war keusch | die Not, es war ein Mond, der wie verschneit | und langsam hob den blassen Schein, es war | vertan und wogte leicht, die Nacht, sie sank | und brach wie Brot.


E fu sí dolce, fu un risveglio e profondo,
come velato, e lí chiaro si levò il canto,
simile era al sonno, era mattutino e come
inquieto e anzi desolato, cosí per tempo,
ancora come stordito e poi vacillò, salutò,
rimase.

Und war so süss, war ein Erwachen und tief, | wie verhangen, da licht, da auf und stieg das | Lied, es war wie Schlaf, war morgendlich | und wie besorgt und heillos doch, so früh, | so wie benommen noch und wankte, grüsste, | blieb.